Gli Smokin Velvet tornano a distanza di una manciata di settimane dalla loro prima release con un nuovo brano che mescola hip hop e influenze urban: “Scarseez” è una pugnalata al cuore dei pavidi, tutto in salsa “riot” ed ironica come piace agli Smokin’, duo da tenere d’occhio (e con una certa attenzione!). Abbiamo fatto qualche domanda ai ragazzi, per sapere qualcosa di più sulla loro musica.
Ciao Smokin’, è un piacere avervi con noi! Levateci subito questo dubbio: da dove deriva la scelta del vostro nome?
(Dreabb)È stato un processo di brainstorming intensivo ma molto divertente, cercavamo un nome che conciliasse il nostro suono con l’immaginario che ci rappresenta. Smokin’ Velvet è velluto fumante, tende di un sipario che si apre su una performance infuocata, e allo stesso tempo rappresenta la nostra vibe continua: fumando velluto.
Emanuele e Alessio, venite da città diverse: come è avvenuto il vostro incontro? Lo ricordate ancora?
(Deep Sheet)Ci siamo conosciuti nel 2018 a Milano, ad un laboratorio di Hyst (Taiyo Yamanouchi). Quello che mi ha colpito subito era l’approccio, il rapporto che Dreabb aveva con la musica. Allora aveva un progetto solista in corso che portava avanti con una determinazione di ferro, nel quale faceva sia da producer che da rapper. Nonostante il background molto differente, aveva così tanta cazzimma che non avrebbe potuto essermi indifferente.
(Dreabb)La cosa che mi colpì di più di Deep Sheet (che allora non si faceva ancora chiamare così) era che, nonostante non avesse ancora registrato nulla in vita sua, una volta messo al microfono si avvertiva subito che era un diamante grezzo già predisposto a scrivere testi destinati a rimanere in testa e nel cuore dei futuri ascoltatori. E a un personaggio del genere non potevo non proporre di iniziare a collaborare insieme.
Tra l’altro, vi occupate internamente di ogni aspetto della “produzione”, dalla realizzazione degli arrangiamenti alla creazione delle grafiche. Quanto è importante, oggi, riuscire a non dipendere, economicamente ed artisticamente, da altri?
(Dreabb) Dipende molto dal tipo di progetto a cui si sta lavorando, ci sono molti linguaggi differenti nel campo artistico, e a seconda di che tipo di comunicazione si utilizza cambiano i mezzi e le persone con cui collaborare, sia nella quantità che nella qualità.
Il modo in cui lavoriamo in maniera indipendente a questo progetto ci consente di essere molto creativi grazie alle nostre competenze. L’estetica grezza e a bassa fedeltà ci ha sempre affascinato e ci da la possibilità di arrivare al pubblico in modo autentico, senza filtri.
“Lontano da qui” cantava un disagio che, in modo diverso, ritorna anche nel vostro ultimo singolo. Potremmo in qualche modo pensare i brani come collegati? O credete siano invece diametralmente diversi?
(Deep Sheet) “Lontano da qui” è diventato per noi un manifesto, è l’incipit, l’inizio del nostro percorso. “Scarseez” racconta quel contesto, ne fa parte, descrive lo stesso periodo, quindi in un certo senso sì, sono collegati. “Scarseez” racconta l’ipocrisia, la ricerca spasmodica, cieca e generalizzata del successo, racconta il vestirsi di strati che non ci appartengono, in una guerra per le briciole mascherata da scalata verso il successo. Lontano da qui racconta il nostro dentro, “Scarseez” ironizza sul fuori.
Nella vostra idea di “hip hop”, pare esserci spazio in qualche modo per immaginare anche un live in “full band”. Come vi immaginate il vostro set dal vivo? Avete qualche data in programma?
(Dreabb) Hai avuto un sentore corretto caro Musikz. L’idea è chiaramente quella di avere più di una versione del live da portare in giro, una più smart in due e una in full band. Per come stiamo lavorando allo show credo sia già molto funzionale in due, ma è chiaro che una versione con i musicisti possa coinvolgere ancora più sia noi che il pubblico. Per le date invece vi invitiamo a seguirci sui social per restare aggiornati!
(Deep Sheet)Sì, e poi ci fa sesso stare tra gli strumenti.