“Siolence” è il disco di debutto di Metcalfa, pubblicato il 23 marzo, l’album desta subito interesse non solo per la musicalità ecletticamente elettronica, ma anche per il titolo stesso.
In una commistione tra silenzio e violenza, anche i suoni delle tracce che compongono il disco cercano di evocare questa particolare unione. Noi non abbiamo perso nemmeno un minuto per scambiare quattro chiacchiere direttamente con l’artista.
Ciao, benvenuto! Dunque, il tuo nome se non sbaglio dovrebbe essere quello di un insetto che si nutre della linfa delle piante…come mai un nome così insolito?
Esattamente! Beh, la ragione è molto più semplice del previsto… perché mi piace tantissimo il suono del nome.
Ma torniamo subito alla musica! Il 23 marzo pubblichi il tuo EP “Siolence”, ti va di presentarcelo?
Beh, diciamo che il modo migliore di presentarlo e far sì che lo faccia da solo: tramite l’ascolto. Il modo migliore è sicuramente con l’aiuto cuffie di buona qualità e sarebbe meglio di notte.
Quale dei sei brani credi che riassuma al meglio la crasi tra silenzio e violenza che alla base del tema del tuo disco?
Non me lo sono mai chiesto, ma così su due piedi ti direi “The Unknown Machine”. Potrà non sembrare, ad un primo ascolto, ma secondo me è la traccia che meglio condensa questo dualismo.
I tuoi singoli mettono insieme jazz elettronica ambient: chi sono gli artisti a cui ti ispiri maggiormente?
Mh, la lista sarebbe molto lunga, ma te ne cito alcuni: Antonio Sanchez, Zach Dazinger, Alfa Mist, Mr. Bill, Apparat, DaU Punk e Explosions in The Sky.
Sostieni di essere un esponente della hybrid music, immagino che sia un “genere” in continua evoluzione proprio per via della sua mescolanza: qual è il genere che stai studiando al momento in modo da poterlo riconcettualizzare nelle tue prossime canzoni?
Al momento sto studiando moltissimo il linguaggio jazzistico, ma al tempo stesso sto approfondendo anche altri ambiti dell’elettronica, della produzione musicale e della musica per immagini. Per i prossimi pezzi… chi lo sa! Diciamo che preferisco applicare quello che è il mio modo di pensare, piuttosto che un genere ben preciso, alla mia musica.
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