Intervistiamo i Chasing Godot, giovane band indipendente che è online con il nuovo singolo Breakdown.
Scopriamo qualcosa di più su di loro, sul loro progetto e su questo nuovo singolo che puoi ascoltare alla fine dell’intervista.
- Ciao ragazzi! Presentatevi: come nasce il vostro progetto, quali sono gli artisti che maggiormente vi influenzano e se volete svelarci qualcosa in più sulle vostre ultime uscite… 😉
Quando abbiamo scelto di chiamarci Chasin Godot, ormai più di cinque anni fa, eravamo alla disperata ricerca di un nome che incarnasse la nostra faticosa ricerca di una identità. Col tempo ci siamo resi conto di quanto in realtà questo nome fosse calzante anche con la nostra idea di musica. C’è dentro l’insoddisfazione, c’è la rabbia, c’è l’esigenza di continuare a inseguire qualcosa che non si conosce e inevitabilmente ci sfugge, c’è l’introspezione, c’è un pizzico di filosofia su uno sfondo letterario. Ecco, tutto quello che siamo sta dentro il nostro nome.
Siamo nati quasi per caso, o per gioco, quando il chitarrista, Lorenzo, ha provato a mettere insieme un progetto musicale sulle ceneri della vecchia band in cui suonava ai tempi del liceo. Così abbiamo Simo, amico di sempre, alla batteria. Perez al basso, compagno di scuola e ingegnere tuttofare. Teo, sai cantare? La risposta è stata un video su Youtube, di una versione piano e voce di Romeo and Juliet. Una taverna in cui provare nei weekend, nelle pause dallo studio. Attrezzatura scadente, preparazione tecnica discutibile. È un inizio, come tanti se ne leggono in giro.
Abbiamo sempre avuto difficoltà nel definirci come genere, forse perché ascoltiamo artisti molto diversi, forse perché ognuno di noi vive e interpreta la musica a suo modo, forse per timore di restare incastrati in un’etichetta, o di essere la brutta copia di qualcuno più famoso. E’ indubbio che scriviamo i pezzi che ci piacerebbe ascoltare, che prendono a piene mani dalle chitarre del Grunge anni 90 alla Pearl Jam, dai riff elaborati e “pigri” dei Red Hot con Frusciante, dalla rabbia gridata dei primi U2, dalle melodie lineari e dai cori degli Artic Monkeys. Ma come dimenticare i Dire Straits, gli i Led Zeppelin; Hendrix, ovviamente. I Beatles, si possono citare senza essere banali? D’altronde che cos’è il Rock se non una lunga ed emozionante appendice a quanto fatto dai Fab Four? Influenze varie e più di un’anima, ma forse è meglio così. Più facile trovare nuove ispirazioni, e provare ad essere originali.
Abbiamo all’attivo un EP e tre singoli. L’ultimo uscito è Breakdown, ed è decisamente espressione del filone più Rock e “cattivo” dei nostri pezzi, tante chitarre distorte e voce graffiante. Siamo molto affezionati anche al testo, perché per la prima volta siamo andati oltre la dimensione introspettiva dell’EP, e in cui affrontiamo temi di attualità. La musica, e l’arte in generale, possono certamente essere un divertimento o una semplice passione, ma sono anche in grado di affrontare ed esorcizzare la realtà che ci circonda, di incanalare pensieri e affrontare gli argomenti più difficili. L’importante è farlo con sincerità.
- Siamo curiosi di scoprire di più sulla scena delle vostre parti: com’è la scena indipendente nella vostra zona? Pensate sia un posto in cui ci sono condizioni favorevoli per i musicisti indipendenti o preferireste essere in un’altra zona/scena?
Ne stavamo giusto parlando l’altro giorno tra di noi… Iniziamo con una precisazione, parliamo della scena Rock, consapevoli del fatto che si tratti oramai di un genere di nicchia, ma comunque con un suo pubblico.
Diciamo che la situazione non è ottimale. Nel corso di questi anni abbiamo conosciuto molte band anche molto brave, ma il concetto di “scena musicale” manca. Ci sono molte persone che suonano, ma poche che ascoltano; ogni band ha il suo pubblico di affezionati e amici, ma non c’è condivisione e la crescita è molto difficile. C’è da dire che questo è dovuto anche a un pensiero, molto diffuso tra i proprietari dei locali (con le dovute eccezioni), che non vede le band che suonano inediti come un’offerta da fare al pubblico con un potenziale di crescita, ma come un rischio da minimizzare incassando il pubblico di amici che la band porta con se in serate che altrimenti andrebbero vuote. Se vuoi suonare suoni il mercoledì e il giovedì e il pubblico te lo porti tu. Scegliendo, insomma, l’uovo oggi rispetto alla gallina domani. La situazione è tuttavia estremamente difficile anche per i locali, persino da prima del Covid, e ci sono molti di questi in cui si percepisce (percepiva) ancora la passione per la musica e il rispetto per chi suona, ma essendoci poco pubblico cos’altro possono fare se non puntare sulle cover band? Ma se le band emergenti suonano solo in serate in settimana e per niente pubblicizzate, come fanno a crearsi un pubblico maggiore?
Una scena musicale forse non è qualcosa che si crea magicamente, ma qualcosa che va costruito. Band simili dovrebbero collaborare e unire le forze e forse, trovando un locale che decida di dar loro una vera chance, si potrebbe creare qualcosa di diverso! Nel frattempo, noi continuiamo a suonare per il nostro pubblico, comporre per noi e per loro, e divertirci nel farlo.
- Arriviamo da mesi di lockdown in cui, ahinoi, la musica dal vivo si è fermata: come avete vissuto il periodo? Siete riusciti a restare attivi anche a distanza?
In un primo momento con i live si è interrotta anche la nostra ispirazione. La testa era presa da tutt’altro e i propositi di sfruttare il tempo a disposizione per comporre sono inizialmente venuti meno; qualsiasi nota sulla chitarra risultava stonata, qualsiasi parola per i testi usciva banale.
C’è voluto un po’ tempo, ma col passare dei mesi ci siamo riassestati, abbiamo continuato a sentirci, ripreso a scrivere, e poi, quando è stato possibile, a provare, comporre e registrare. Ci manca molto suonare dal vivo, ma abbiamo avuto la fortuna di non avere problemi di salute e abbiamo tanto nuovo materiale su cui lavorare e da registrare.
- Come vedete il futuro della musica indipendente nell’era post-covid?
Domanda difficile, è stato triste vedere molti locali, anche di quelli in cui abbiamo suonato, chiudere definitivamente. È stato triste anche veder chiudere le sale prova, gli studi di registrazione, e annullare qualsiasi tipo di spettacolo. Il settore della musica indipendente era in difficoltà già prima di questa crisi sanitaria c’è solo da sperare che dopo uno shock di questo tipo si liberino nuove energie e nuove idee; certamente ora come ora la componente digitale e social ha acquisito ancora più importanza, ma anche in quel campo, come nei locali, bisognerebbe lavorare per creare una stanza comune e ampia in cui condividere l’esperienza.
- Per concludere, se foste dei “fratelli maggiori” ipotetici di un giovane musicista che si affaccia al mondo indipendente, quali consigli e/o spunti vi sentireste di dargli?
Non crediamo di essere nella posizione di poter dare consigli, anche e soprattutto perché abbiamo sempre ignorato quelli che sono stati dati a noi (cominciando dalla scelta di fare musica rock e per di più in inglese).
Spalle al muro, citeremmo un classico del cinema: “il segreto per un buon soufflè di patate sono le patate”, che, parafrasando, significa che la cosa importante è la musica in sé, e in particolare la musica che ti piace, perché nessuno ti restituirà il tempo che hai usato scrivendo e suonando musica che non ti piace, solo per farsi ascoltare.
Gli ultimi due consigli. Non restate fermi ad aspettare Godot, perché, spoiler, non arriva. E, infine, ignorate i Chasin Godot”.
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