Torniamo a parlare di Musica D’Autori, il nuovo podcast di Yang P, nasce dalla necessità di scoprire (e riscoprire) musica. In un’epoca nella quale la nostalgia e la retromania hanno vinto sulla curiosità e sull’innovazione, Paride Rosati confronta brani che per i più potrebbero risultare agli antipodi.
Abbiamo intervistato Paride per scoprire di più sul suo progetto.
“Yang P”. Da dove nasce questo nome?
Nasce dalla necessità di creare un alias con cui pubblicare delle strumentali di genere rap. L’idea dietro questa scelta è molteplice:
foneticamente ricorda un tipo di nome da MC (Master of Ceremonies) molto in voga in America per attecchire su un pubblico più giovane (anche se gli artisti stessi molte volte sono tutt’altro che “Young”).
Come significato si collega al taoismo: nel suo simbolo più conosciuto, ci sono due parti di colori opposti che convivono e che si completano.
“Yang P” quindi rappresenta la mia parte più creativa, come contraltare a quella che ogni giorno deve adattarsi alla società e ai suoi ritmi.
“Musica d’autori”. Parlaci di questa nuovo progetto che stai portando avanti.
E’ un podcast in cui confronto due canzoni appartenenti a due epoche e generi diversi.
L’obiettivo è quello di riuscire a diffondere la mia grande passione per la musica del passato e del presente, che spesso ha pubblici molto diversi.
Proprio per questo punto perlomeno a creare curiosità di uno di questi verso la musica dell’altro e viceversa.
Cosa ti ha spinto a voler parlare di musica, oltre al produrla?
Tendenzialmente la stessa cosa che mi spinge a parlare con amici, familiari e conoscenti: la voglia di scoprire e far scoprire qualcosa che colpisce l’attenzione.
Quale tra le puntate che hai prodotto finora è stata quella che a posteriori ti è piaciuta maggiormente?
Per fortuna rispondere a questo domanda diventa, man mano che escono le puntate, sempre più difficile! Quella che ho trovato più difficile (e soddisfacente) da fare è stata quella in cui collegavo il brano “La testa gira” dei Club Dogo a “Scimmia” di Eugenio Finardi.
In entrambi i brani si parla della dipendenza data dalle sostanze stupefacenti in maniera molto cruda, quindi in un modo molto differente rispetto a come viene trattato l’argomento in questo periodo (quindi con molta leggerezza).
Stando attento a non avere un tono paternalistico, ho utilizzato la puntata anche per dire la mia su quell’argomento.
Hai mai pensato di riproporre lo stesso format non solo sulla musica ma anche su altre forme d’arte come ad esempio la scrittura?
Bella domanda!
No, però potrebbe essere interessante farlo (anche perché, per quanto riguarda il cinema soprattutto, ho un tipo di passione molto simile a quella che ho per la musica).
Ti ringrazio per l’idea, ti darò la paternità, nel caso la portassi avanti!
Quali sono musicalmente parlando i tuoi progetti futuri?
Sono diversi: nei prossimi mesi verranno pubblicati dei dischi di alcuni gruppi musicali della scena alternativa milanese in cui ho suonato le tastiere.
Sono poi alla ricerca del modo migliore per poter pubblicare la mia musica (di matrice principalmente rap ed elettronica) che non ho mai smesso di fare ma che fatico a diffondere.
Magari nei prossimi mesi (grazie anche al podcast) riuscirò a trovare il canale giusto!
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